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Il Bollettino della Parrocchia

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Parrocchia di

San Marco Evangelista

 
 

Bollettino Parrocchiale del 7 aprile 2013

 

Riflessione di Don Romeo

 

Tommaso è sempre presente nelle quattro liste compilate dal Nuovo Testamento, egli nei primi tre Vangeli è collocato accanto a Matteo (cfr Mt 10, 3; Mc 3, 18; Lc 6, 15), mentre negli Atti si trova vicino a Filippo (cfr At 1, 13). Il suo nome deriva da una radice ebraica, che significa "gemello". In effetti, il Vangelo di Giovanni più volte lo chiama con il soprannome di "Didimo" (cfr Gv 11, 16; 20, 24; 21, 2), che in greco vuol dire appunto "gemello". Non è chiaro il perché di questo appellativo... Notissima, poi, è la scena di Tommaso incredulo, avvenuta otto giorni dopo la Pasqua. In un primo tempo, egli non aveva creduto a Gesù apparso in sua assenza, e aveva detto: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò!" (Gv 20, 25).

In fondo, da queste parole emerge la convinzione che Gesù sia ormai riconoscibile non tanto dal viso quanto dalle piaghe. Tommaso ritiene che segni qualificanti dell'identità di Gesù siano ora soprattutto le piaghe, nelle quali si rivela fino a che punto Egli ci ha amati. In questo l'Apostolo non si sbaglia. Come sappiamo, otto giorni dopo Gesù ricompare in mezzo ai suoi discepoli, e questa volta Tommaso è presente. E Gesù lo interpella: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente" (Gv 20, 27). Tommaso reagisce con la più splendida professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20, 28).

 

L'evangelista prosegue con un'ultima parola di Gesù a Tommaso: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Gv 20, 29). Questa frase si può anche mettere al presente: "Beati quelli che non vedono eppure credono". In ogni caso, qui Gesù enuncia un principio fondamentale per i cristiani che verranno dopo Tommaso, quindi per tutti noi. Il caso dell'apostolo Tommaso è importante per noi per almeno tre motivi:

  1. perché ci conforta nelle nostre insicurezze;
  2. perché ci dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza;
  3. perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui...

 

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Spesso ci ritroviamo a pregare con le parole luminose di quel padre del vangelo che aveva un figlio epilettico: "Io credo, Signore, ma tu aiutami nella mia incredulità" (Mc. 8, 23).

Che cosa aveva impedito a Tommaso di credere all'esclamazione della comunità dei discepoli che dicevano: "Abbiamo visto il Signore".

Forse una cosa non aveva convinto Tommaso: che parlavano del loro Maestro come di uno che aveva vinto la morte, e otto giorni dopo si trovavano ancora con le porte chiuse.

Quelle porte chiuse erano una contro testimonianza al vangelo della risurrezione, un vangelo che apre. Una comunità chiusa, separata, sulle difensive non sarà mai una buona testimonianza della risurrezione.

Questa purtroppo è l'immagine che spesso ancora oggi diamo.

Forse dovremmo prendere sul serio le parole di Gesù ai suoi discepoli: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi".

Noi siamo mandati. E ci si sofferma poco -troppo poco- su quel "come", che segna una discriminante, e si pensa per lo più che siamo mandati a parlare.

E Gesù  nella sinagoga di Nazaret annuncia il passo di Isaia e dice: "Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia…".

Come Gesù. Non i gesti che chiudono, ma quelli che aprono, che sollevano: l'ombra di Pietro, l'ombra che guarisce al suo passaggio. Pensate, non una parola! L'ombra, quasi l'assenza del gesto, l'ombra silenziosa, una presenza, l'aria che tu fai respirare… dà pace, risolleva il cuore, rimette in cammino.

 

Il Santo Padre Giovanni Paolo II volle che questa domenica fosse celebrata come la Festa della Divina Misericordia: nella parola "misericordia", egli trovava riassunto e nuovamente interpretato per il nostro tempo l’intero mistero della Redenzione. Egli visse sotto due regimi dittatoriali e, nel contatto con povertà e violenza, sperimentò profondamente la potenza delle tenebre, da cui è insidiato il mondo anche in questo nostro tempo. Ma sperimentò pure, e non meno fortemente, la presenza di Dio che si oppone a tutte queste forze con il suo potere totalmente diverso e divino: con il potere della misericordia. È la misericordia che pone un limite al male. In essa si esprime la natura propria di Dio – la sua santità, il potere della verità e dell’amore. Morendo il papa Giovanni Paolo II  ripeteva:

“Abbiate fiducia nella Divina Misericordia! Diventate giorno per giorno uomini e donne della misericordia di Dio! La misericordia è la veste di luce che il Signore ci ha donato nel Battesimo. Non dobbiamo lasciare che questa luce si spenga; al contrario essa deve crescere in noi ogni giorno e così portare al mondo il lieto annuncio di Dio.”

 



Eventi in Evidenza

 

I DICIOTENNI sono invitati ad un incontro in Centro Parrocchiale

lunedì 8 aprile ore 21 per l’iniziativa-cuccagna.

 

  • Per la buona riuscita del PRANZO SOCIALE domenica 21 è necessario iscriversi. Le iscrizioni si ricevono in Centro Parrocchiale fino a domenica 14 aprile.

 

Tutte le iniziative della FESTA PATRONALE di SAN MARCO nelle serate del  19    20    21    24    25  sono in fase di realizzazione….

 

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Allegati
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