Bollettino Parrocchiale del 8 gennaio 2012
Riflessione di Don Romeo
È breve il tempo natalizio.
Breve ma pieno di emozioni e di forza, di provocazione e di inviti alla conversione, per chi li vuole accogliere. E con oggi chiudiamo queste due settimane passate ad accogliere l'inaudito di Dio, a stupirci, come i pastori, che scoprono che Dio viene apposta per gli sconfitti, a interrogarci come i magi, che sono curiosi davanti alla vita, a meditare come fa Maria, che tesse la sua vita intorno alla Parola.
Quel Gesù che abbiamo lasciato nella culla, riconosciuto dai magi, lo ritroviamo oggi adulto, penitente fra i penitenti, a farsi battezzare nel Giordano da Giovanni il predicatore.
Mi piacerebbe che la Chiesa, prima di tornare al tempo ordinario, celebrasse altre due feste:
- la memoria della fuga in Egitto, per ricordarci che Dio è stato un clandestino trattato male dai benpensanti di tutti i tempi e
- la solennità della quotidianità di Nazareth, per fermarci alla soglia del mistero di un Dio che per trent'anni costruisce sgabelli.
In attesa di questa improbabile riforma liturgica, accodiamoci alla folla che scende da Gerusalemme per incontrare il battezzatore, Giovanni profeta.
Non si dilunga nei particolari, Marco, come al suo solito.
Non parla della nascita di Gesù e nemmeno della sua infanzia. Lo troviamo adulto, Gesù, pronto a farsi battezzare. Gesù si mette in fila per il battesimo. Non ne ha bisogno, il suo cuore non è oscurato dalla tenebra, in lui la presenza di Dio è assoluta.
Eppure vuole condividere il bisogno intimo dell'uomo di liberazione e di pace.
Non fa finta, Gesù, non accetta vantaggi, in tutto è simile all'uomo. In tutto eccetto nel peccato che, appunto, è l'anti-umanità.
Questa sua vicinanza all'uomo si manifesterà ancora durante la sua vita pubblica.
Dio non approfitta del suo essere Dio: vuole fare esperienza di umanità, senza trucco.
Dopo avere ricevuto il battesimo Gesù sente il Padre che gli rivela la sua missione, la sua profonda identità. Egli è il figlio amato, di cui Dio si compiace.
Si compiace, Dio, nel vederlo solidale con i peccatori. Si compiace, nel vederlo farsi discepolo.
Matteo e Luca dicono che tutti sentono la manifestazione di Dio, la teofania.
Marco, invece, ci dice che Gesù solo la sperimenta.
Anche nella nostra vita, a volte, abbiamo bisogno di svolte, di manifestazioni, di chiavi di lettura, e Dio si rivela se il nostro agire è trasparente, se la nostra vita è retta.
Cristo è nato nella storia, tornerà nella gloria. Ma come farlo nascere, ora, nei nostri cuori?
Il battesimo rappresenta l'ingresso nella vita nuova in Cristo. Da sempre, da subito, i cristiani hanno capito che quello era il gesto nuovo da compiere per siglare la conversione, per suggellare la volontà di cambiamento.
Esisteva già un battesimo, quello del Battista, un gesto di purificazione, di vita, così come l'acqua lava e purifica, dà vita agli uomini e ai vegetali. Ma Gesù si battezza nello Spirito Santo e propone ai suoi discepoli di diventare tali nel battesimo.
Storicamente, lo sappiamo bene, il battesimo è stato amministrato ai bambini.
Non è un abuso della volontà di Cristo: le primitive comunità battezzavano intere famiglie
Resta il fatto che siamo stati battezzati quando eravamo inconsapevoli, incapaci di cogliere la profondità del gesto che i nostri genitori compivano al nostro posto.
Gli anni del catechismo, "recupero" della preparazione battesimale, non sono serviti a raggiungere la presa di coscienza della grandezza dell'appartenere a Cristo.
Ma adesso che siamo adulti possiamo farlo, possiamo riappropriarci del battesimo.
Col battesimo è stata messo nel nostro cuore il seme della presenza di Dio.
Non una magia, non una rito scaramantico, ma un seme. Va coltivato, il seme, per poter crescere e per portare frutto. Il padrino era colui che, nella Chiesa primitiva, aiutava il seme a crescere.
Col battesimo siamo diventati cristiani.
Spesso portiamo il nome di un santo. I santi sono coloro il cui seme del battesimo è diventato un albero frondoso alla cui ombra ci riposiamo. Siamo diventati concittadini dei santi e famigliari di Dio. I santi sono sugli spalti a far tifo per noi, che giochiamo nel campo la partita della vita. Non siamo soli.
Col battesimo ci è tolto il peccato originale, la fragilità che tutti portiamo nel cuore, la macchia che ci impedisce di essere liberi. Cristo ci libera da questa fragilità: diventiamo capaci di amare.
Ecco cosa è successo il giorno del nostro battesimo, anche se non ce ne siamo accorti, anche se eravamo troppo piccoli.
Ora siamo cresciuti, ora siamo consapevoli.
Come diceva sant'Ireneo: cristiano, diventa ciò che sei.
Sono queste le riflessioni di Paolo Curtaz che riempiono il cuore di speranza e di gioia. Scendono nel profondo del cuore proprio per la maniera semplice e dolce in cui vengono proposte e si prestano a tanti approfondimenti.
Ne indico due:
- Sentirsi orgogliosi di quel battesimo che i genitori ci hanno donato. Davvero si tratta di un tesoro, di un patrimonio prezioso che illumina la nostra vita di quella fede, speranza e carità che ci distingue da chi è privo di questo.
- Avere il coraggio ma anche la gioia di vivere da battezzati non solo alla domenica ma tutta la settimana. La nostra società guarda con ammirazione e rispetto ai credenti che sono coerenti con i propri valori.